Il Complesso Episcopale

La più antica testimonianza relativa al primitivo complesso episcopale milanese ci viene dal vescovo Ambrogio: in una lettera del 386 alla sorella Marcellina egli ricorda una basilica vetus o minor (antica o minore), una basilica nova quae maior est (“nuova, che è maggiore”) e una basilica baptisterii.

La basilica vetus, nell’area dell’attuale Duomo, costituì probabilmente il precedente della basilica di Santa Maria Maggiore ricordala nel secolo IX.

La basilica nova è concordemente identificala con la cattedrale intitolala al Salvatore e poi a Santa Tecla, esistente fino al 1461-1462 nell’area del sagrato del Duomo.

Per quanto riguarda il battistero, la maggior parte degli studiosi è propensa a ritenere che Ambrogio si riferisse all’ottagono di San Giovanni alle Fonti, la cui costruzione sarebbe stata proprio da lui avviata.

Non è difficile spiegare questo fervore nella costruzione di nuovi luoghi di culto cristiano nel corso del IV secolo. Infatti, dopo la legittimazione del cristianesimo con l’editto proclamato nel 313 dall’ imperatore Costantino, a Milano l’opera edilizia della chiesa divenne sempre più qualificante e incisiva accanto agli interventi imperiali. Tale attività culminò proprio nell’età di Ambrogio, vescovo a Milano dal 374 al 397, quando la città si arricchì di numerose basiliche, assumendo caratteristiche che vincoleranno anche lo sviluppo urbano medievale.

All’attività della chiesa milanese nel IV secolo si deve in primo luogo proprio la costruzione del complesso episcopale, destinato a diventare il nuovo centro della città.

La basilica nova o maior, attribuibile a un orizzonte non precedente alla fine del IV secolo, è l’edificio meglio noto del complesso episcopale. Grazie agli ampi scavi che l’hanno interessata nel 1943, per la costruzione di un rifugio antiaereo, e nel 1960-61, in occasione dei lavori per la stazione Duomo della metropolitana. Purtroppo però non è stato possibile in tali circostanze conservare i resti delle sue strutture, demoliti integralmente, ad eccezione della zona absidale e di una porzione della navata centrale.

La basilica presentava un imponente impianto monoabsidato a cinque navate scandite da un fitto colonnato, preceduto probabilmente da un nartece o atrio, di cui sono stati recuperati alcuni resti. Si ritiene che in seguito all’invasione di Attila, che nel 452 d.C. recò gravi danni alla cattedrale, siano stati avviati imponenti lavori di ristrutturazione, che comportarono principalmente la ricostruzione dell’abside, un nuovo assetto del presbiterio dotato di una solea (passerella sopraelevata fornita di parapetti) e una nuova ricca pavimentazione in opus sectile con piastrelle in marmi di diversi colori disposte a formare vari motivi geometrici.

In epoca preromanica e romanica la cattedrale di Santa Tecla conobbe imponenti rifacimenti forse anche in seguito al grave incendio che nel 1075 sconvolse l’intero complesso episcopale.